DIAMO UN SENSO ALLE CATEGORIE

LUBYA altrimenti detta FASOLIE

foto dal web

Premessa: la seguente ricetta solo se amate l’aglio, altrimenti aspettate la prossima. Che li chiamiate boby, fagiolini o con qualunque altro nome, in estate non mancano mai sulle tavole di tutto il mondo, personalmente questa ricetta tipica di Libano Siria e dintorni, mi piace tantissimo. Gli ingredienti necessari sono davvero molto pochi e la preparazione veloce (nel senso che una volta messi sul fuoco poi non dovete fare altro). Prendete una pentola (non una padella) e fate insaporire dell’olio d’oliva, (se usate quello bono è meglio perché ricordatevi che nei piatti, quel che ci metti lo ritrovi), dell’aglio, tanto aglio. Qui, a seconda del gusto personale potete usarlo come più siete comodi. Io per questo piatto, uso quello in polvere. Abbondante, senza esagerare e a fuoco bassissimo, dopo qualche minuto, aggiungete della carne macinata, bovina mi raccomando non suina. Se la carne è cicciotta ovviamente userete meno olio, se è magrina (che per questa ricetta è meglio) un filo di più. La fate insaporire bene bene mescolando in modo che l’aglio la raggiunga tutta e sempre a fiamma bassa lasciate che perda il sangue. Nel frattempo prendete dei fagiolini, lavati e spuntati, ma lo darei per scontato, e con un coltello o a mano ( se siete dei puristi), li spezzate nella pentola in tocchetti da tre quattro cm. Per la quantità andate un pochino a sentimento, nessun sapore deve prevalere sull’altro quindi io consiglio che nella pentola suddetta i due ingredienti si equivalgano. Il fuoco è ancora acceso quindi la carne sta continuando a cuocere e rilasciare i suoi liquidi che accoglieranno i fagiolini. Voi quando li avete spezzettati tutti  prendete una cucchiarella e mescolate mescolate mescolate come se foste Amanda Sandrelli che parla con Massimo Troisi. A questo punto i tre, aglio carne e fagiolini dovrebbero essere assolutamente amalgamati e pronti a ricevere la passata di pomodoro con cui amorevolmente e generosamente li coprirete, arimescolate rimescolate rimescolate e aggiungete acqua fino a coprire il tutto lasciando quel cm cm e mezzo, ma anche due al di sopra. Io l’ho fatta lunga ma va da se che il tutto ha richiesto forse 10 minuti, facciamo 15 se siete molto lenti, appoggiate il coperchio, se avete quelli di vetro c’è della goduria supplementare. Mettevi sul divano o al pc, giocate col cane/gatto/figlio, telefonate a un’amico/a per una venticinquina di minuti e poi andate a controllare la pentola. Quando l’acqua si sarà consumata del tutto, la carne sarà praticamente sciolta e i fagiolini saranno della giusta consistenza, spegnete il fuoco e aggiungete il sale, occhio, tenetevi bassi che adesso arriva la chicca. Erba cimicina! Ah ah ah, vi vedo eh che fate la faccia schifatissima, tranquilli, quella che da noi si chiama erba cimicina altri non è che il coriandolo. Noi però per questo piatto non useremo le foglie (che oggettivamente hanno un odore che ne giustifica il nome, bensì i semi seccati.) Li trovate in erboristeria sciolti o al supermercato in vasetto (in genere col tappo macina).  Se usate quello in vasetto già macinato, tenete presente che in 400 gr di carne ca. perché il tutto abbia il gusto che deve avere, ce ne dovete mettere un terzo abbondante di vasetto.   Io consiglio di prenderlo in erboristeria. I semi sono vuoti e siccome li vendono a peso, va da sé che spendete meno e macinandolo al momento dell’uso il gusto è molto maggiore.   Un po’ prima che si faccia l’ora di preparare la cena o il pranzo, mettete dell’acqua, non troppa, in una pentola più piccina dell’altra, 4 o 5 dita sino sufficienti e ci buttate dentro a freddo due pugni di riso, il basmati col suo profumo sposa il coriandolo che è una meraviglia, ma anche quello da minestra va bene, a fuoco basso e coperto anche lui, l’acqua deve consumarsi tutta e il riso NON va scolato, magari la prima volta vi incasinate un po’ con le misure ma poi giuro che ci prendete mano. Lo lasciate intepidire. La carne fagiolinata pomodorata e coriandolata lo accoglierà nel piatto come un fratello perduto e ritrovato e voi godrete di molto. Personalmente, con i 400 gr di carne altrettanti di fagiolini, ( più il riso) ci faccio un paio di pasti, ma per i meno golosi ne saltano fuori anche tre.

Napul’è …

Come ormai tradizione, a Milano, in date variabili ma non troppo, si svolge Bookcity, il programma è sempre bello sostanzioso e c’è modo di soddisfare più o meno tutti i gusti. Stasera, in attesa del fine settimana in cui non ci sarà tempo di scrivere, ma di cui vi racconterò, faccio un doppio salto (im)mortale carpiato e vi butto lì due consigli per domenica pomeriggio/sera. Che a Napoli ci sia un pezzo bello abbondante del mio cuore è cosa nota, ma nel cuore di tutti di sicuro ci son due cose. La pizza e Pino Daniele. immortali entrambi, cibo per lo stomaco e l’anima, ché entrambi hanno bisogno di essere nutriti. Per tutelare e diffondere quello che Pino a lasciato in termini di musica poesia solidarietà, è nata la Fondazione che porta il suo nome. Alessandro, secondogenito di Pino, ha scritto un libro in cui ci racconta l’uomo e l’artista. I proventi del libro sostengono “i suoni delle emozioni” per il contrasto alla povertà educativa ed il disagio scolastico, un progetto che Alessandro Daniele cura da qualche anno con la Fondazione Pino Daniele e che si basa sul sistema di valori di suo padre, atto ad utilizzare la musica come linguaggio per comunicare gli stati d’animo ed i sentimenti (info: www.fondazionepinodaniele.org). I proventi del libro sostengono “i suoni delle emozioni” progetto che si pone come obbiettivo quello di contrastare la povertà educativa ed il disagio scolastico. Sarà lo stesso Alessandro, coadiuvato da Massimiliano Finazzer Floris, a parlarne in dettaglio. Domenica 20.11 da Mondadori Book Store in piazza del Duomo. Ingresso libero fino a esaurimento dei posti.

Se dopo aver librato tutto il giorno avete deciso di andare a sentire il figlio di Pino e vi è venuta una gran voglia di Napoli, dovete solo prendere un tram (il 12 o il 14 per la precisione) e scendere alla fermata via Cenisio via Induno. All’altezza del civico 19 di Cenisio, è aperto da giugno un ristorante pizzeria, Quartieri spagnoli. Entrare è come fare una full immersion in Partenope. Ma davvero eh, la maniglia della porta è un grande curniciello rosso vivo, e appene dentro…La meraviglia. Vi accoglierà una cameriera sorridente, che è sempre un bel biglietto da visita, in un mare di colori, su un muro c’è il faccione della mano de dios, su un altro c’è Sofia, dal soffitto scendono fumetti con le più belle e famose frasi che si usano sotto il Vesuvio e la voce dei neomelodici. L’apoteosi però si raggiunge quando vi arriva davanti la pizza, pasta lievitata oltre le 24 ore, fiordilattte o bufala, corrnicione – e quando dico one lo dico sul serio – con o senza ripieno. O se preferite, fritti cuoppi primi e secondi. La pasticceria è quella di Sal de Riso, i piatti, una volta svuotati si rivelano quasi da eposizione, un tripudio di colori e limoni che a guardarli ti sembra di essere in Costiera. Non vi chiedo di fidarvi così a caso, l’invito è quello di seguire i due consigli letterarculinari. Sono sicurissima che poi verrete a dirmi che bella domenica avete passato.

Oggi si va di ricetta – non si vive di sola lettura

Foto ciofeca piatto delizioso

La categoria Golosità l’abbiamo creata, quindi usiamola. Lo so, avrei potuto fare una foto più accattivante, ma se poi il piatto fosse stato cattivo? Quindi fidatevi che appena lo rifaccio cambio la foto con anche un suggerimento di presentazione. Vado di ricetta:

Ingredienti: una melanzana (meglio quelle tonde) – pomodoro – una mozzarella – parmigiano – sale e origano QB

Tagliate a fette di circa mezzo cm la melanzana e grigliatela (io uso la classica bistecchiera) – in una pirofila bassa mettete un foglio di carta forno, trucchetto per adattare la misura, bagnatelo e strizzatelo benissimo. Sulla carta forno appoggiate le fette di melanzana grigliata e salate leggermente ma uniformemente. Cospargete le fette con della passata di pomodoro, va da sè che se l’avrete precedentemente ridotta e condita sarà più gustosa, io ho usato della passata cruda e garantisco che il gusto c’è comunque. Affettate finemente la mozzarella e disponetela a coprire tutta la superficie. Altro giro moderato di sale e origano, spolverata di parmigiano e in forno. Che è pronta lo sentite dallo sciauro (il profumo), lo vedete dal fatto che la mozzarella si è sciolta uniformemente e la spolverata di parmigiano si è dorata. Nel mio forno statico a 280° ci ha messo una decina di minuti.

Niente olio niente condimenti extra, possiamo tranquillamente dichiararlo un piatto dietetico ma la bocca non se ne accorgerà minimamente. Poco tempo poca spesa e tanta resa. Qualora si decida di pranzare/cenare con solo quella, è ovvio che le dosi di una melanzana e una mozzarella diventano una monoporzione.

Senza essere un sommellier, io ci ho abbinato un bianco (ortrugo per la precisione) ma anche una falanghina del Sannio o un rosso leggero secondo me ci stanno benissimo.

Fatemi sapere se poi la provate

Un Malvaldi e due stalker gentili

Si sa che il #SalTo è occasione per incontrare i tuoi autori preferiti, i miei, molti dei miei (autori preferiti dico), pubblicano i loro libri col vestitino blu. Uno di questi è quel geniaccio di Malvaldi, e siccome in un blog dove si parla di libri seriamente (anche se scanzonatamente), le interviste prestigiose ci stano bene e lui (credo per non vederci più – no scemotti, non uso il plurale maiestatis – è che ero con un’amica) sapendo oltretutto che l’amica in questione è il caporedattore di MilanoNera, altrimenti detta Cristina Aicardi, ci ha incautamente proposto di intervistarlo. Potevamo perdere l’occasione? Anche no. Quindi abbiamo unito i due neuroni. Godetevi il risultato. Un grazie speciale a Samantha Bruzzone in Malvaldi

Fotina da cui si evince che non so fare i selfie
D: Suppongo che la domanda non sia nuova, ma nel caso, io non ho mai sentito la risposta, sicchè, qual è l’evento per cui un chimico ricercatore universitario si è scoperto improvvisamente scrittore?
R: La cara, vecchia, indispensabile noia. Ero stato condannato a un anno di tesi di laurea, e una volta scritto il codice di calcolo (io sono un chimico computazionale) dovevo mandarlo e aspettare il risultato: circa una settimana di attesa. E dovevo stare lì, perché non sapevo se e quando il conto sarebbe uscito. Avevo un computer davanti e tanto tanto tempo libero. Ho cominciato a descrivere la situazione contraria a quella che stavo vivendo: al mare, al sole, senza niente da fare, a giocare a carte al bar. Praticamente un pensionato. Ecco, da lì è venuto fuori La briscola in cinque. Scritto nel 2000, pubblicato nel 2007.
D: scrivi gialli, scrivi saggi, ne sai di letteratura di matematica di musica e ti viene tutto bene (ma bene) dammi due soddisfazioni, c’è qualcosa che proprio non ti riesce? Dimmi che ti viene bene tutto ma fai una fatica boia
R: Le cose che non mi riescono cerco di tenerle occultate. Le mie doti fisico-sportive sono decisamente sotto la media. Sono il peggior organizzatore dell’universo. Da bambino volevo fare il disegnatore di fumetti, ma tutt’ora, a quarantacinque anni, non sono in grado di disegnare cose più complicate di una patata. Ho tentato di imparare a stirarmi le camicie quando vivevo da solo, in Olanda: in un mese, trecento euro di danni.
Tutto quello che so fare ha richiesto fatica. E’ il mio vero talento. Mi spiego meglio: io non sono una persona particolarmente intelligente. Questo ha uno svantaggio (ci metto tempo a capire le cose) e un vantaggio: quando le ho capite, le so spiegare bene. Mi ricordo tutti gli errori che ho commesso, le fallacie che mi hanno ingannato, i cortocircuiti mentali. Le persone intelligenti non sono, di solito, brave a spiegare le cose, perché per loro sono ovvie: per me ovvie non sono, e quindi cerco di ricostruire il mio percorso mentale, di fare esempi che siano onesti e comprensibili.
D: Generalmente (credo anche inconsciamente), quando ci si mette a scrivere è perché si sente l’esigenza di dire qualcosa, a questo punto della tua carriera hai scoperto cosa volevi dire e sei riuscito a farlo o non ti sei proprio posto il problema ?
R: No, io sono uno scrittore di intrattenimento, e fino a oggi non ho mai voluto dare un messaggio. L’unica cosa che spero che le persone ricordino, dei miei libri, è che ogni risata è una ammissione di errore, una allegra prese di coscienza dell’incapacità di prevedere il futuro.
D: Si dice che nel giallo/noir italiano, caratteristica peculiare sia la localizzazione. Ricciardi fuori Napoli è inimmaginabile come Monterossi a Pavia. Tu i tuoi gialli li hai ambientati in un posto che non esiste, nel tuo caso possiamo parlare di regionalità o addirittura di ambito provinciale, tenuto conto del dna pestifero dei toscani?
R: Forse sì. E’ anche vero però che il mio modo ‘toscano’ di vedere le cose nasce da zii veneti e piemontesi. Credo che il toscano non sia più veloce a pensare, semplicemente più allenato e più spudorato.
D: l’ironia e il sarcasmo sono doti innate o si possono acquisire con l’esercizio?
R: Vedi sopra. SI possono allenare, assolutamente. Iniziando a prendere per il culo sè stessi, è il migliore allenamento che si possa fare. Ti posso anche dire chi sono stati i miei allenatori: Woody Allen, Ettore Borzacchini, Stefano Benni, Jerome K. Jerome, Douglas Adams e il Venturi, un tizio che giocava con me a ping pong.
D: da chimico, sapresti trovare una formula che definisca un buon romanzo?
R: Il corso di scrittura creativa del Malvaldi costa 500 euri ogni due domande. Non credo che tu abbia veramente voglia di farmi la seconda…
D: bravura e credibilità sono le doti richieste a uno scrittore. Cosa significa essere bravo e credibile?
R: Eh, bella domanda. Qui, davvero, non so cosa rispondere. Posso dirti cosa cerco di fare io. Io credo che uno scrittore, a meno che non si parli di Kafka, non si inventi quasi niente, ma che riorganizzi la realtà, le cose che ha visto e che ha sentito, in modo tale da renderle una storia. La tua credibilità viene fuori se le persone, leggendo, sentono che quello che scrivi è plausibile, nel mondo in cui lo ambienti.
D: hai la straordinaria dote della chiarezza espositiva,riesci a far sembrare semplici, comprensibili e anche divertenti leggi fisiche, chimiche e matematiche che sono ostiche ai più, o almeno a me. Come ci riesci? Ti hanno mai chiesto di scrivere libri di testo scolastici?
R: Sul come ci riesco credo di aver risposto prima: trovando esempi, e delimitando bene fin dove l’esempio regge e dove non vale più. Scrivere testi scolastici mi piacerebbe tantissimo, anche se temo che dovrei rinunciare alla volgarità. Non fanno leggere le poesie scabrose di Catullo, al liceo, figurati se passerebbe il Malvaldi…
D: Vento in scatola è nato da un corso di scrittura ai detenuti, tu cosa hai imparato da questa esperienza?
R: che si giudica troppo facilmente sulle questioni di cui siamo ignoranti. Entrare in carcere per me è stato scoprire che avevo dei pregiudizi ancor più radicati di quanto credessi, uniti a un buonismo stucchevole che serve solo a chi sta fuori, per tranquillizzare la propria coscienza. E insegnare a persone che aspettano quell’ora in cui vai lì dentro come la più importante della settimana ti dà un’idea di quanto sia preziosa la tua libertà.
D: nel romanzo in cui c’è la tua verve che assicura il divertimento, c’è anche tanto su cui riflettere. A partire dal classico errore giudiziario agli agenti che son detenuti quasi quanto i carcerati eccetera. C’è però soprattutto il nome di un coautore, un detenuto con cui hai realizzato il libro. Potrei chiederti per completezza come e perché è nata l’idea ma credo ti toccherà in ogni intervista da qui al prossimo romanzo quindi sorvolo. La domanda è, come si supera la “paura” di confrontarsi con qualcuno che evidentemente ha commesso un reato? Come si lavora con un “cattivo”?
R: E’ stata una inquietudine che mi ha accompagnato per parecchio tempo. Specialmente parlando con Glay, e scoprendo che abbiamo tante cose in comune, a livello caratteriale: abbiamo entrambi un senso della giustizia piuttosto inflessibile, quasi adolescenziale, un senso dell’umorismo che ama il politically scorrect. Entrambi abbiamo voglia di imparare, siamo curiosi. Quando vedi che una persona molto simile a te è dentro, per un delitto grave che ha commesso, ti chiedi se per caso non avresti potuto fare lo stesso, nella medesima situazione. Non puoi avere la certezza che la risposta che ti dai sia quella corretta.
Ho trovato grande consolazione nel leggere ‘Fine pena: ora’, di Elvio Fassone, che ha tenuto una corrispondenza di 28 anni con un mafioso da lui stesso condannato all’ergastolo. La sua risposta credo di averla fatta mia: la pena che Glay sta scontando è quella, riguarda il suo passato, e non può essere né cancellata, né ulteriormente aumentata. Sono tutti buoni a comportarsi in modo corretto e rispettoso con il Dalai Lama; è quando rispetti la legge con chi non ha le tue possibilità di difesa, di comunicazione, che dimostri di credere a quella stesse legge che lo costringe in carcere. Sono due facce della stessa medaglia, non si può sceglierne solo una: è umano, ma sarebbe ipocrita.
D: Sempre a proposito del romanzo, chi fosse il coautore è stato dichiarato con grande chiarezza, non avete avuto tu e l’editore, un po’ di paura che questo potesse nuocere al libro? Un rifiuto aprioristico da parte dei lettori?
R: Sì, questa paura c’è stata. E c’è ancora. Ma se fai solo cose sicure, prima o poi ti vieni a noia da solo.
D: il libro sta scalando le classifiche. Cosa dice e soprattutto cosa ti chiede Glay ora?
R: Credo che la cosa che gli farebbe più piacere sia fare insieme qualche presentazione ‘fuori’. Anche se l’idea di dover parlare in pubblico al momento credo lo imbarazzi… Stiamo tentando di organizzarle. Spero bene.
D: Un tuo collega ha scritto “ Curarsi con i libri”. Esiste un libro che rileggi per i suoi effetti terapeutici, un tuo libro feticcio?
R: Il Novissimo Borzacchini Universale, dizionario ragionato della lingua livornese ad uso delle persone colte e dei pisani. Il mio manuale di umorismo. Se dovessi ritrovarmi sull’isola deserta, la scelta cadrebbe su quello o sulla divina commedia. Se fossi certo che un giorno mi ritroveranno, opterei per Dante, ma solo in funzione del pubblico…
D: esiste davvero la cella liscia?
R: Pare di sì. Non ne ho mai vista una, ma ci sono molte testimonianze coerenti tra di loro. Non posso quindi dire con certezza che c’è, ma dovendo scommetterci, ci metterei una somma considerevole.

I paragrafi concentrici di Marco Malvaldi

Siamo verso la metà del 1400, a Milano c’è un ducato ovviamente un duca, più di uno a dire la verità, più o meno legittimato a governare dall’alto della sua ragguardevole altezza (all’epoca non era così usuale essere alti) e con la forza che emana il suo sguardo. Anche di carattere pare non fosse proprio un pasticcino, ma ripeto, all’epoca si usava così e quindi più di tanto non ci turbiamo. Al soldo del Moro, che gli ha commissionato una statua equestre in bronzo – enorme – per dare eterno lustro a Francesco Sforza che è morto da ventisette anni, ma come suol dirsi è vivo e lotta insieme a noi, c’è Leonardo da Vinci, maestro riconosciuto in più di un’arte. Le vesti rosa e il fatto che non abbia donne, fanno sì che sia considerato diciamo eccentrico, ma anche questo non è il punto. Si ma allora sto punto? Ok avete ragione, il punto è che Leonardo ha sempre con sè un taccuino che c’è un omicidio che il cavallo ancora non c’è e c’è invece un serio problema di soldi. E poi c’è la scrittura di Malvaldi, come i grandi, i bravi veri, riesce a cambiare restando sè stesso. L’ironia rimane la stessa, sia che parli di vecchietti che ci racconti di una vacanza gastronomica o che imbastisca un giallo su e con Leonardo da Vinci, l’impianto narrativo è perfetto, il plot giallo scorre perfettamente. Un romanzo storico in cui scopriamo che il problema del traffico era già presente nel 1400 ma non solo. Difficile da descrivere quello che fa Malvaldi in questo romanzo, (ah per inciso si intitola La misura dell’uomo) che è poi quello che fa sempre ma in modo diverso. Scrive su due piani, in uno si muove fra ciottoli e polvere fra cene coi nani buffoni e congiure, nell’altro si muove nel presente, il divertimento sta nel non far capire al lettore, se dal passato racconta il futuro o viceversa. Per ultimo segnalo una chicca, in un romanzo che parla di enigmi, usa un gioco linguistico (che viene anche lui da lontano), facendo iniziare ogni paragrafo legandolo al precedente, vuoi con le parole vuoi con i concetti, sì, esattamente come nelle cornici concentriche o meglio ancora nel Bersaglio (quelli della Settimana Enigmistica). Prendi una cultura vastissima (e mi tengo bassa), una dose di sense of humor che sarebbe sufficiente per tre, lo studio accurato dell’argomento e un talento raro, mescola il tutto in un chimico allampanato e dall’aria stralunata et voilà mesdames e mosssieurs, lo scrittore è servito. Ah non so se vi è chiaro, ma non leggerlo sarebbe un delitto.

Chiamata a raccolta per i #deGiovanners –

deGiovanners tutti e genti che leggete senza essere maniaci, tra qualche giorno (pochi, magari domenica ma intanto mi anticipo), vi inviterò sulla pagina facebook di questo bel blogghino, o su twitter, vedete voi. A far cosa, ve lo dico preso.